La campagna Fridays for Future è stata avviata dalla studentessa svedese Greta Thunberg nel 2018, quando il 20 agosto diede il via allo sciopero per il cambiamento climatico, ed è diventata il simbolo dell’attivismo contro il riscaldamento globale. Le prime manifestazioni si sono tenute in Australia, la città di New York ha concesso a più di 1 milione di studenti di non andare a scuola per partecipare a uno degli scioperi, ma anche i lavoratori di alcune grandi aziende statunitensi hanno deciso di aderire all’iniziativa. Presto anche in Italia si è cominciato a manifestare; per esempio il 24 maggio 2019 diversi studenti hanno aderito alla manifestazione che si è tenuta nelle piazze delle principali città d’Italia e del mondo, tra cui Piazza Ducale a Vigevano, contro i cambiamenti climatici, l’inquinamento, l’uso indiscriminato delle materie plastiche e l’inerzia della politica, dei governi e della classe imprenditoriale attenta solo al profitto.
Tuttavia i giovani di “Fridays for Future” non si sono limitati a occupare le piazze, bensì si sono uniti al gruppo “Extinction Rebellion” e hanno iniziato anche a bloccare il traffico e a “imbrattare” simbolicamente alcune tra le opere d’arte più celebri al mondo. A Milano, a Roma, nelle principali metropoli del mondo migliaia di ragazzi si sono seduti sull’asfalto per bloccare le auto delle persone che si stavano recando al lavoro, una protesta forte scelta per sensibilizzare la popolazione sul cambiamento climatico, così come è stato fatto con le opere d’arte: zuppe, verdure ortaggi gettati contro i quadri, un gesto simbolico visto che questi sono coperti da protezioni e che sono queste a essere imbrattate, lasciando intatti i dipinti.
Di fronte ad atti tanto eclatanti, la protesta è tornata al centro del dibattito, anche se non tanto per il cambiamento climatico in sé, quanto per i disagi causati dai manifestanti. Voci di Corridoio ha interpellato Pietro Comelli, docente di Storia dell’arte al Casale lo scorso anno scolastico, per indagare la relazione tra protesta ed espressione artistica. Professor Comelli, qual è il suo pensiero riguardo alla protesta condotta da “FFF” e “Extinction Rebellion” che, attraverso l’arte e il finto imbrattamento delle opere, cerca di sensibilizzare sul tema del cambiamento climatico?
Credo che questi movimenti in un certo senso possano davvero sensibilizzare le persone ad aprire un dialogo sulla questione climatica e sottolinearne l’urgenza
«Di contro colpire un settore già in crisi come quello della cultura è ovviamente deleterio»
Questo tipo di protesta usa l’arte o l’arte è un mezzo potente per combattere delle battaglie?
«Entrambi, a mio avviso. L’arte sicuramente permette di diffondere messaggi forti e a volte propagandistici (si pensi all’arte fascista). In alcuni casi diventa un simbolo (l’esempio di David per la rivoluzione francese o di Pellizza da Volpedo con “Il quarto stato”), a volte diventa motivo di conflitto contro il concetto di arte stessa (il riferimento è al Dadaismo), a volte ancora radicalizza il pensiero (come per gli artisti Rinascimentali o Accademici del ‘700). Questa piccola premessa per dirti che oggi definire l’Arte non è così semplice; dipende dalle epoche e dal contesto culturale.
L’arte ha combattuto battaglie? Sì, in passato ne ha combattute e probabilmente ne combatterà ancora. Credo però che la missione di questi movimenti non sia tanto la “battaglia” ma la presa di coscienza di uno specifico tema
«Di contro un’opera d’arte non è altro che un oggetto sovraccaricato di significati, dati proprio da noi stessi. Bisognerebbe interrogare le nuove generazioni su questo tema e quanto davvero ritengono “significante” un Van Gogh. Per finire c’è da aggiungere che l’arte da sempre (in tutte le sue forme) ha subito processi distruttivi (vedi Iconoclastia a Costantinopoli o anche la recente riqualificazione/distruzione di molte statue del ‘900)».
Parteciperebbe a una protesta di questo tipo?
«Non parteciperei a questa protesta per amor della cultura. Se si rovinassero irreparabilmente alcune opere non mi sentirei a posto con la coscienza a sapere che le future generazioni non potranno godere del messaggio culturale/estetico che esse portano»
Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi di questo tipo di protesta?
«L’aspetto positivo è sicuramente rappresentato da una grande acclamazione dei media, quindi portare la protesta al “virale” innescherebbe la domanda: “Perché lo stanno facendo?”. L’aspetto negativo è la ricaduta sulle istituzioni museali. Dopo questi episodi molte di esse potrebbero pensare di adoperarsi per installare vetri e dissuasori. Non ci sarà da sorprendersi se poi aumenteranno i costi dei biglietti».
Yasmine Naddari 4B AFM