Voci di corridoio ha deciso di affrontare un argomento molto discusso, “l’eutanasia”. Per affrontarlo si è scelto di seguire due prospettive, una giuridica e una religiosa, grazie alle risposte di due docenti dell’istituto, la professoressa Luisa Broli, docente di diritto, e il professore Agostino Alfano, docente di religione.
Professoressa Broli, qual è la sua posizione sull’eutanasia e quali sono le ragioni principali che la sostengono?
«L’eutanasia è un tema molto controverso che va affrontato considerando le numerose implicazioni etiche del dibattito circa la sua eventuale legalizzazione. Sono contraria all’eutanasia se intendiamo per eutanasia l’uccisione attiva del paziente. Sono invece favorevole al suicidio medicalmente assistito ossia alla procedura di auto somministrazione di un farmaco letale, in presenza di determinate condizioni, come previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. La Costituzione italiana stabilisce, infatti, che nessuno può essere obbligato ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà. Ritengo molto positivo il fatto che in Italia siano previste le disposizioni anticipate di trattamento, comunemente definite “testamento biologico” o ”biotestamento” regolate dalla Legge 219/2017. In previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte, la legge prevede la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari».
Come pensa che la legalizzazione dell’eutanasia possa influenzare la società?
«La legalizzaione dell’eutanasia porta con sè il rischio della svalutazione della vita umana: in alcuni Paesi l’eutanasia è stata legalizzata a prescindere dalle condizioni del paziente, può essere praticata non solo nei confronti di malati terminali, ma anche di persone semplicemente depresse o in condizioni non gravi o addirittura minori di età»
Come considera l’eutanasia nel contesto di persone con disabilità o malattie
croniche?
«Il problema in questo caso è la mancanza di un valido consenso del paziente nel prendere la decisione. Occorre ricordare che il diritto alla vita è universale: spetta anche alle persone deboli e vulnerabili; l’ordinamento giuridico, che punisce l’aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente, intende proteggerle da una scelta estrema e irreparabile»
Quali pensa siano gli effetti dell’eutanasia sulla famiglia e sulla società?
«Accompagnare una persona nei tempi della conclusione della sua vita è certamente molto difficile e sfidante, tutti gli esseri umani richiedono una cura straordinaria sia al momento della nascita sia durante la malattia e la vecchiaia. La solidarietà ci rende umani e noi siamo chiamati a restare umani, la legalizzaione dell’eutanasia porterebbe invece a una disumanizzazione della persona, della famiglia e della società».
Come definirebbe il livello di sofferenza che giustifica l’eutanasia?
«Premetto che non giustifico l’eutanasia, ma se si procedesse alla sua legaligazzione sarebbe indispensabile definire i requisiti necessari per la sua attuazione, tra i quali dovrebbe essere presente “l’intollerabilità della sofferenza”»
Come regolare il “fine vita” per le persone non capaci di intendere e volere?
«Questo è un vero problema: se un parente si trovasse a decidere sulla vita di un’altra persona avrebbe una responsabilità enorme. Il desiderio di vedere la fine della sofferenza altrui potrebbe essere accompagnato dall’esaurimento delle proprie energie nel lavoro di cura. In alcuni casi è intervenuta l’autorità giudiziaria: questo garantisce che la decisione sia presa da un soggetto terzo, estraneo alla situazione e può rappresentare una garanzia di una decisione equilibrata»
È possibile quantificare la soglia di sofferenza e la qualità della vita al di sotto delle
quali è possibile giustificare l’eutanasia?
«Non saprei, non sono un medico, ma concordo pienamente con l’oncologo Silvio Garattini che in questi giorni ha dichiarato che “vi saranno sempre delle persone che, per varie ragioni, hanno un fine vita in sofferenza e disperazione non sempre fisica ma, soprattutto, psicologica, insensibile a qualsiasi intervento. Ebbene, per queste persone aiutare l’avvento della morte, attraverso la sedazione profonda, non mi sembra un suicidio assistito ma un atto d’amore”».
Professor Alfano, qual è la sua posizione sull’eutanasia e quali sono le ragioni principali che la sostengono?
«Alla prima domanda non posso non rispondere, essendo io un ministro ordinato della Chiesa Cattolica, con la posizione ufficiale esposta con la “Samaritanus bonus”, la lettera della Congregazione per la Dottrina della fede datata 14 luglio 2020 e che, in sintesi, ribadisce la condanna verso ogni forma eutanasica e di suicidio assistito. In questo documento viene proposto come esempio il caso del “buon samaritano”, che invece di ignorare come tutti il malcapitato sul ciglio della strada, se ne prende carico assumendosene la responsabilità. Infatti, al padrone della locanda dove lo lascia dice: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”».
Come pensa che la legalizzazione dell’eutanasia possa influenzare la società?
«Alla seconda domanda ti rispondo citando l’Art. 2 della Costituzione Italiana “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …”, e l’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che dice: “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”; non sono un giurista, ma ti proporrei una riflessione anche sull’art. 27 della nostra Costituzione che dice “Non è ammessa la pena di morte”, per alcun reato, proprio perché i nostri Padri costituzionalisti, anche se di opinioni e credo religiosi molto differenti, condividevano il principio della “indisponibilità della vita”, proveniente dall’antichità greca. Esiste poi un altro documento, di ordine strettamente etico e molto prezioso che è il “Giuramento di Ippocrate”, il quale vincola da sempre l’operato di ogni medico a “non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte”, e che, già di fronte alle pratiche abortive, solleva oggi molti problemi di coscienza nella classe medica».
Come considera l’eutanasia nel contesto di persone con disabilità o malattie croniche?
«La tua terza domanda evidenzia un pregiudizio: le persone con disabilità o malattie croniche sono “diverse”? E in che senso: sono “meno persone”? Sono “più persone”? Il punto è proprio questo: come consideriamo la vita delle persone, quale criterio valoriale adottiamo? Certo, se utilizziamo il modello utilitaristico, non possiamo che constatare un disvalore nelle disabilità o nella cronicità di alcune malattie le quali, oltre a rendere poco o per nulla produttivi alcuni soggetti, diventano un peso per le famiglie e una spesa rilevante per la società. Se poi pensiamo a quanto pesantemente incidano sul morale delle persone che vi vivono accanto, vediamo quasi un “effetto contagio” che mina, addirittura, il rendimento di intere famiglie e gruppi sociali! Ma le persone allora sono calcolo utilitaristico? Tu e io valiamo in quanto soggetti utili e produttivi?»
E’ possibile misurare la sofferenza?
«La verità è che con tutta la mia capacità empatica, non potrò mai soffrire la sofferenza dell’altro: potrò stargli vicino, guardarlo negli occhi, ascoltarlo, curargli le ferite, nutrirlo, vestirlo, amarlo persino, ma non soffrire la sua sofferenza. La mia umanità arriva sino a un certo punto, oltre è una soglia che non posso varcare, questo limite mi è dato e non lo posso cancellare: ed è questa, appunto, la mia sofferenza, altra dalla sua ma tanto grande e dolorosa quanto l’amore che mi ci lega, la mia impotenza di fronte al dolore dell’altro è la mia sofferenza! Questa partecipazione, questo come-patire, questo soffrire con l’altro, mi rende cristiano e mi rende pienamente umano, non scappo dalla mia natura, che è debole e fragile, ma l’abbraccio e la vivo fino in fondo, sapendo che l’umanità dell’altro, anche se meno abile o meno in salute di me, è la mia stessa umanità. C’è oggi qualcuno che cerca di convincerci che abbiamo “diritto “, come se fossimo “dei del nostro destino” e cerca di farci dimenticare che in realtà siamo un dono, se non vuoi credere in Dio, all’amore che non 2, ma miliardi di altre persone si sono scambiate dall’inizio dei tempi, e che questo dono non è quantificabile dalla capacità produttiva o generativa, ma dall’amore che sappiamo prendere e donare, dal significato che sappiamo essere e trovare, in noi e negli altri»
Lo ha vissuto in prima persona?
«Una delle persone più importanti della mia vita è stato un ex studente di questa scuola che ha percorso i corridoi del nostro istituto 35 anni fa: Andrea Gramegna. Andrea ha potuto essere un elemento produttivo della società, e molto molto di più. Ha potuto grazie all’amore e al sostegno di tanti, a cominciare dalla sua splendida mamma, sino a tutti noi suoi amici, che in cambio abbiamo ricevuto tanto, io soprattutto, tanto di più. Le persone come Andrea ci ricordano cosa siamo realmente e quanto possiamo significare per gli altri. Andrea è morto 10 anni fa, il 2 aprile del 2014, pochi giorni prima sono andato a trovarlo in ospedale, faceva fatica a comunicare, ma con fatica mi ha detto: “Mi dispiace morire, avevo ancora delle cose da fare”».
Qual è dunque il suo orientamento su questo tema?
«Io non sono contro l’eutanasia, non sono contro il “testamento di fine vita”, io sono per la vita, io sono per la compassione, per la condivisione delle fatiche e delle sofferenze, che ci ricordano che possiamo darci un prezzo, oppure scegliere di essere dono».
Gabriele Piano – Jacopo Vanella 4A SIA