Un po’ rincuora sapere che in fondo i pigri hanno capito tutto dalla vita e che fare parte di questa privilegiata categoria ha molti più vantaggi di quanto si possa pensare. Già i primi organismi viventi quasi 5 milioni di anni fa avevano intuito che risparmiare forze li avrebbe portati lontano. Secondo il ricercatore Luke Strotz, infatti, tra le specie di molluschi prese in considerazione dal suo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, quelle che resistevano erano quelle che usavano meno energia possibile. Lo stesso accade anche con le lingue, secondo il principio di economicità infatti, con un numero limitato di unità di seconda articolazione, si può costruire un numero grandissimo di unità dotate di significato. Per chi è troppo pigro per cercare di capire cosa significa la frase appena scritta, basti sapere che più una lingua è semplice più questa avrà probabilità di sopravvivere rispetto ad altre più complesse.
Anche le persone di spicco della nostra epoca sono d’accordo: Bill Gates in un’intervista ha affermato che le aziende dovrebbero assumere persone pigre per fare lavori difficili, perché sono capaci di svolgerli nella maniera più semplice possibile. Esse infatti riusciranno a scindere il necessario dal superfluo per sfruttare al meglio il tempo e le energie disponibili. Aggiungerei che non è solo la capacità di semplificare qualsiasi compito per fare il meno possibile ad avvantaggiarli, ma anche l’attenzione e l’impegno che sono obbligati a metterci, questo perché essendo dei procrastinatori seriali sono abituati a lavorare sempre sotto pressione e in prossimità di una scadenza.
È certo che essere pigri è un privilegio riservato a pochi eletti: solo coloro in grado di concentrarsi sull’essenziale usando l’intelligenza per colmare le conseguenti lacune possono godere di tutti i benefici che ne derivano. Bisognerebbe quindi distinguere tra strateghi maniaci dell’organizzazione e semplici svogliati attratti dal sonno. La peculiarità dei primi sta nel riuscire a mantenere uno standard alto tanto quello di una persona che punta più all’efficienza. Ai secondi invece non importa di riuscire nel loro intento, a loro basta solo non dover faticare.
Del resto la “pigrizia” non è per forza un vizio, per i Romani l’ozio aveva una sfumatura diversa ed era un tratto distintivo dei patrizi, cioè di quanti potevano permettersi il lusso di “sprecare” il tempo libero. Cicerone ad esempio lo riteneva caratteristica essenziale degli uomini liberi e per Seneca riservare tempo per se stessi e per gli studi volti a aumentare la saggezza, staccandosi dalle preoccupazioni della vita pubblica, era una condizione necessaria per vivere bene.
Ai giorni nostri forse è proprio questo il problema: la pigrizia è associata alla nullafacenza, allo spreco di tempo, e vista sempre in chiave negativa. È davvero così o essere pigri è la conseguenza naturale di tutto lo stress e la frenesia a cui quotidianamente si è sottoposti?
È sbagliato preferire rilassarsi e dedicarsi a quella cosa ormai sconosciuta chiamata “vita” o il lavoro dev’essere il cardine su cui ruota la nostra esistenza?
Da un anno a questa parte la nostra vita è diventata una lunga e monotona serie tv. Di quelle che dopo la prima stagione già stancano perché ripropongono i soliti due avvenimenti in trenta salse diverse. Ansie e preoccupazioni sono all’ordine del giorno: non sapere quando tutto questo finirà, quando e se tutte le persone che a causa di questa pandemia hanno perso il lavoro potranno avere la certezza di riuscire a portare di nuovo il pane in tavola, o quando la scuola non sarà ricordata per l’incubo della Didattica a Distanza, ma solo per l’incubo che è sempre stata (un brutto sogno con i suoi pro e i suoi contro, ma pur sempre un brutto sogno); di certo tutto questo non aiuta né invoglia a essere produttivi.
Electra Arduini, 3A SIA