Secondo il “Global Gender Gap Index”, il report annuale del WEF (World Economic Forum), l’Italia è al sessantatreesimo posto su 146 Paesi, con 0,720 punti, mentre a livello europeo si trova al venticinquesimo posto su 35 Paesi.
Il “Global Gender Gap Index” è un indice che misura con un punteggio da 0 a 1 (da un’assenza di parità fino alla sua totalità) le varie discriminazioni di genere presenti in un determinato Paese. Sul podio troviamo l’Islanda con 0,908 punti, seguita dalla Finlandia con 0,860 punti e dalla Norvegia con 0,845 punti.
L’espressione “Gender gap” è spesso utilizzata in maniera inappropriata; questo termine infatti rappresenta le varie disparità legate al genere, dal divario sociale a quello economico e lavorativo, presenti in un determinato Paese. Conosciamo questo fenomeno soprattutto per il divario evidente nel mondo del lavoro, in particolar modo per le opportunità lavorative e per le rispettive retribuzioni. Le donne sono da sempre svantaggiate in questo ambito e in molti Paesi del pianeta; si sprecano così milioni di talenti e di opportunità, che potrebbero rendere il mondo un luogo migliore. Secondo i dati dell’Istat, le donne italiane in media guadagnano il 15% in meno rispetto agli uomini. In Europa invece, la media è del 14,8%, ma dobbiamo sottolineare il fatto che la percentuale di questo divario varia da Paese a Paese.
Nello specifico possiamo parlare di Gender Pay Gap, che può essere “grezza” se basata sulla differenza media della retribuzione lorda oraria, o “complessiva”, prendendo in considerazione anche il numero medio mensile delle ore retribuite ed il tasso di occupazione femminile.
Il divario è causato da diversi fattori, ad esempio culturali, per i quali la donna è stereotipata come la padrona della casa e della famiglia; in altri casi, ciò è dovuto dalla tipologia di occupazione considerata come “high touch”, per la quale il lavoro manuale femminile è meno retribuito rispetto allo stesso lavoro svolto da un uomo.
In rari casi, questa disparità è legata anche a forme di abuso e violenza a danno delle lavoratrici. Anche se è molto difficile, per superare questo divario bisogna partire dalle tradizioni culturali, cambiando gli stereotipi presenti in un Paese. Successivamente, bisogna migliorare la formazione delle donne e le loro competenze, rendendole pari a quelle del genere maschile.
Un altro problema che accomuna molte persone, specialmente le donne, è il carico mentale: rappresenta la sensazione di oppressione che porta una persona a percepire su di sé il peso eccessivo delle responsabilità giornaliere. Questo concetto viene menzionato per la prima volta nel 1984 dalla sociologa Monique Haicault, nel libro “La gestione ordinaria della vita a due”. Nel testo non si parla soltanto di impegni che potrebbero causare stress, ma anche dell’organizzazione legata ad essi.
Il carico mentale colpisce principalmente le donne, perché sono loro le principali organizzatrici delle giornate dell’intera famiglia. Anche se l’uomo si rende partecipe a dividere i lavori all’interno del nucleo familiare, egli in generale non prende molte iniziative e cerca solo di svolgere le proprie mansioni. Per risolvere questo problema bisognerebbe dividere il carico di lavoro tra la coppia (compresa la sua progettazione), dall’occuparsi dei figli alle semplici faccende domestiche.
Dividere il lavoro è sempre un fatto positivo; permette infatti di svolgere tutte le mansioni in un tempo minore, alleggerendo il carico del singolo ed evitando di generare ansia e stress. Ciò permette inoltre di regalarsi del tempo libero, che di solito non è equamente suddiviso. La strada per eliminare le disparità di genere è purtroppo ancora molto lontana. Ci auguriamo che le nuove generazioni possano capire ed affrontare al meglio la questione della disparità di genere, per costruire un futuro migliore.
Martina Salanitro, 4A RIM