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a Formula 1 è sempre stata la competizione motoristica più ambita da ogni ingegnere, un settore che racchiude tecnologie molto avanzate e rappresenta una sorta di enorme laboratorio in cui si sfidano i limiti della scienza, spingendo ogni componente al massimo potenziale e mirando al livello di performance più elevato possibile in pista. Proprio per questa serie di motivi sono necessarie procedure di costruzione che richiedono standard di qualità ed efficienza notevoli; inoltre le soluzioni ingegneristiche sviluppate sulle monoposto verranno in seguito adattate in modo progressivo su veicoli stradali, migliorando la sicurezza e contribuendo allo sviluppo scientifico-tecnologico dell’intera società.
Per conoscere più nel dettaglio questo ambiente, “Voci di Corridoio” ha intervistato un ex-studente del Politecnico di Milano, Dario Pistoia, concorrente della “Shell Eco-Marathon Europe”, una gara internazionale in cui diversi team di aspiranti ingegneri si sfidano a realizzare un veicolo monoposto a basso consumo, che deve essere in grado di percorrere la maggiore distanza possibile sul circuito con un litro di carburante e quindi dimostrare di essere il più efficiente possibile. In tale competizione le auto devono essere costruite seguendo un determinato regolamento, il quale definisce i parametri base a partire dai quali si deve impostare il progetto, tuttavia la parte non regolamentata fornisce libero sfogo alla fantasia e abilità dei progettisti, elemento che farà la differenza nell’efficienza del mezzo.
Pistoia, diplomato al liceo Cairoli di Vigevano, ha iniziato la sua carriera universitaria nel 2012 e nel 2015 ha partecipato al suddetto concorso nel team “Mecc e-”, contribuendo nella realizzazione del veicolo “Daphne”. Dopo aver conseguito nel 2016 la laurea triennale in Ingegneria meccanica con specializzazione in veicoli terrestri, nel 2018 ha collaborato allo sviluppo del veicolo “Leto”, posizionandosi 5° con il suo team nella classifica mondiale e 4° nella classifica europea. Infine, nel 2019, si è laureato in Mechanical Engineering con specializzazione in Ground Vehicles.
Partendo dal principio, qual è il punto di partenza da cui si sviluppa una F1?
«Nella Formula 1 il punto di partenza è sempre il regolamento tecnico, che si deve saper interpretare, a volte decifrare, arrivando così al miglior compromesso per la soluzione che si vuole ottenere, quindi la macchina più performante.»
Qual è la fase dello sviluppo più critica da affrontare per un progettista?
«In realtà è tutto critico, poiché se non si imposta bene il progetto già nelle linee generali partendo da ciò che è stabilito nel regolamento, sarà più difficile correggere eventuali errori durante il processo, quindi prima ce ne si accorge, prima si potrà evitare di compromettere il funzionamento della monoposto. Proprio perché un team deve lavorare per ottenere la macchina più veloce, ogni step è fondamentale, come la fase iniziale, la progettazione, lo sviluppo, il disegno, la parte aerodinamica, il collaudo e tutto il resto; quindi l’insieme deve operare in totale sinergia per arrivare all’obiettivo prefissato.»
Considerando che i regolamenti tecnici della F1 limitano la libertà di progettazione delle monoposto, quali sono le aree più importanti, non coperte dal regolamento, in cui ogni team spinge ad innovare?
«Partendo dal presupposto che la maggior parte delle aree dello sviluppo sono vincolate dal regolamento, è concessa libertà maggiore nella progettazione delle componenti cosiddette “ausiliarie” ossia sistemi idraulici o per l’olio motore, i condotti di aspirazione dell’aria e quelli dei gas di scarico. In particolar modo è più ampia per le sospensioni: spesso, infatti, sono adottate soluzioni ben diverse l’una dall’altra in base alle esigenze e al progetto su cui opera ogni team.»
Dal 2021 è stato introdotto il cosiddetto “budget cap” (tetto massimo di risorse finanziarie da destinare allo sviluppo), cosa ne pensa?
«Dipende dai punti di vista. Senza dubbio ha ampliato la possibilità alle scuderie più piccole di partecipare alzando il loro livello e abbassando quello dei team migliori, cercando di uniformare il complesso. Quindi si può dire che da una parte è un elemento positivo per creare maggiore spettacolo durante le gare quindi attirare ulteriore pubblico; dall’altro lato, c’è da sottolineare che quasi tutte le squadre sono satelliti, infatti i motori utilizzati non sono loro prodotti e di solito viene visto come un importante vincolo progettuale.»
Quanto è limitante questo elemento nella fase di progettazione per un team?
«In questo caso dipende dalla strategia che il team ha intenzione di seguire: infatti nella fase progettuale si deve scegliere su quale area di sviluppo della vettura focalizzarsi e dove concentrare la maggior parte delle risorse, sapendo di penalizzare gli aspetti restanti puntando ad ottenere un compromesso unico.»
Prendendo come riferimento il cambio regolamentare previsto per il 2026, qual è la componente più critica da realizzare nel rispetto della sostenibilità ambientale?
«Considerando che per poter eseguire qualsiasi tipo di movimento in natura si deve trasformare dell’energia e per avere dei consumi ottimali è necessario ottimizzarne l’utilizzo, ad oggi la componente più critica è ottenere una trasformazione dell’energia più efficiente possibile a parità di consumi. Ogni volta che si esegue questo processo, si deve buttare l’energia inutilizzata, come il calore in eccesso adibito al riscaldamento deve essere espulso all’esterno del veicolo; quindi se un giorno dovessimo arrivare a combustibili cosiddetti “green” non si raggiungerà l’impatto zero nel complesso, cioè si genera inquinamento ambientale in modo inevitabile e così facendo si riducono solo di poco le emissioni rispetto ai carburanti tradizionali. Di sicuro però è un passo da dover compiere per potersi muovere verso un futuro sostenibile, anche se per ora in minima parte.»
In termini di efficienza, qual è il sistema di alimentazione migliore, tra elettrico e ibrido, da impiegare in monoposto così potenti?
«Per come è strutturata oggi la Formula 1 non ci si può immaginare di vederle elettriche. Riguardo al sistema ibrido, rappresenta un giusto compromesso visto che è imposto dal regolamento tecnico ed è un metodo molto ingegnoso, infatti permette di sviluppare una grande quantità di energia. Confrontando i motori elettrici impiegati nella Formula E con quelli da F1 c’è una grossa differenza a livello di potenza generata, infatti per la prima si parla di 400 CV circa, invece nella seconda il motore termico (da 1.600 cc) è affiancato da 2 motori elettrici e assieme sprigionano intorno ai 1.100 CV. Quindi ora come ora è più ragionevole spingere molto sull’uso dell’ibrido, perché si riesce a recuperare buona parte dell’energia persa durante la combustione del carburante, che è possibile sfruttare nel corso un giro di pista per andare ancora più veloci, cioè l’obiettivo fondante di questo sport.»
Buttiglieri Alessandro 5^A SIA