Consigli di classe senza rappresentanti dei genitori e una generale scarsa adesione ai momenti di confronto: a scuola la rappresentanza è in crisi? Negli ultimi anni sono in diminuzione i genitori che decidono di impegnarsi attivamente nella vita scolastica, tanto che alle ultime elezioni per i rappresentanti d’istituto non si è presentato nessuno per subentrare ai genitori che hanno lasciato l’incarico. Si tratta di un fenomeno che è aumentato nel tempo? È causato dall’avanzamento tecnologico o ”semplice” disinteresse?
Voci di Corridoio ha cercato di riflettere sull’argomento con il dirigente scolastico, la professoressa Elda Frojo. «I genitori è come se ritenessero di dover seguire i figli in maniera quasi ossessiva – spiega – ma solo fino alla scuola secondaria di primo grado. Successivamente si passa a due tipi di reazioni diverse: il problema della rappresentanza in generale non se lo pongono, quindi non hanno volontà di essere parte della scuola; invece alcuni si pongono il problema del registro elettronico e quindi il rapporto scuola-famiglia tende a essere un rapporto più di controllo, più che del figlio, spesso del professore».
Quel che è evidente è che:
il problema della rappresentanza nelle scuole ormai va avanti da tempo, questo perché la rappresentanza è normata da leggi nate negli anni ‘60 e ‘70, quando l’interesse delle persone per la politica e per la rappresentanza in tutte le sue forme era molto più alto e quindi via via queste leggi hanno lasciato l’impalcatura di un sistema che a oggi risulta un po’ carente sotto diversi aspetti.
Si tratta anche di una questione di tempo, quello che dedichiamo alla scuola, argomenta il dirigente, «è molto poco, non abbiamo il tempo di venire a scuola per le riunioni, per i consigli di classe / d’istituto o anche solo per capire in che scuola è nostro figlio, quali sono gli obiettivi, le strategie che usa l’istituto, qualcosa che non riguarda solo il voto, ma la vita all’interno della comunità scolastica, una cosa che i ragazzi sanno più dei genitori».
Non a caso il discorso potrebbe anche essere allargato a un ambito più ampio. «Quella della rappresentanza è una crisi che nasce a scuola, ma la notiamo anche per questioni fondamentali come le elezioni amministrative, con una riduzione della partecipazione e della qualità della classe dirigente». Eppure «la democrazia non può che essere rappresentativa, non possiamo pensare che per ogni decisione tutti i cittadini debbano essere interpellati, sia perché prenderebbe molto tempo sia perché non abbiamo le competenze per poterlo fare. Quindi dovremmo delegare le persone competenti (altro concetto di cui si sta perdendo significato) in posizioni strategiche che possano prendere decisioni al nostro posto». Senza dimenticare che la scarsa affluenza alle urne è diffusa anche in altri paesi e che pone delle domande sullo stato di salute della democrazia: «Bisognerebbe far rivivere questo interesse nei cittadini che probabilmente hanno perso contatto con la realtà dei nostri stati ed è un po’ pericoloso. Se pensiamo che già ora chi vince le elezioni è la maggioranza relativa di una minoranza, in quanto sono di più quelli che si astengono, è facile comprendere che la democrazia è un po’ zoppicante».
Tornando alla scuola, occorre ripensare il rapporto con le famiglie. «La difficoltà è la comunicazione, quest’anno col Pnrr abbiamo fatto un esperimento, mettendo in campo tantissimi strumenti per cercare di aiutare chi è in difficoltà come recupero competenze di base e mentoring»
per presentarli abbiamo fatto un incontro con le famiglie, in particolare quelle del primo biennio, che così hanno potuto parlare con me e con i referenti di questo progetto. Devo dire che in questo caso l’interesse c’è stato.
Una simile strategia potrebbe essere estesa anche ad altri progetti o momenti dell’anno scolastico, visto che «quando si tratta di pubblicizzare certe iniziative ci sono un po’ di difficoltà nel coinvolgimento dei genitori». Tuttavia si tratta di soluzioni che per il dirigente non sono definitive, soprattutto di fronte al crescente disinteresse: «Ci dovrebbe essere un’alleanza tra la famiglia e la scuola, altrimenti riscontreremo sempre più difficoltà». Un’alleanza da ricostruire a partire dalla consapevolezza dei ruoli. «Se ci si parla, senza bisogno di intraprendere il ruolo di avvocato difensore dei figli, si possono capire certi comportamenti, certe difficoltà, se invece si presuppone sempre che la colpa sia dei docenti finisce che il ragazzo non si fiderà più della scuola e non riconoscerà più la funzione dell’insegnante».
Infine è importante riflettere sul valore che possono avere forme di partecipazione pensate in un’altra epoca: si tratta di contenitori vuoti? «Un organo come il collegio docenti ha senso nella misura in cui funziona il lavoro delle sue componenti e articolazioni, quali ad esempio i dipartimenti e le commissioni.
Se questi lavorano bene si arriva in Collegio con proposte non solo definite, ma anche condivise, seppure non dall’intero corpo docente, a cui resta la possibilità di fare delle proposte.
Devo aggiungere che nella mia esperienza il coinvolgimento è maggiore quando un docente è di ruolo, mentre in assemblee in cui tanti sono nominati a titolo temporaneo è più difficile promuovere una partecipazione attiva. In conclusione credo quindi che questi organi abbiano ancora una funzione, soprattutto se funzionano le articolazioni, mentre se penso al consiglio d’istituto non sempre è possibile una vera e propria partecipazione, ad esempio quando si discute di bilancio o di aspetti normativi per i quali si richiede una competenza specifica che non sempre genitori, studenti e docenti hanno».
Dila Palucaj 5A SIA, Nicole Berard 5B AFM